Si sta come sul regionale

Mi faccio continuamente domande sul tempo. Non metereologico, naturalmente. Cioè, sì, anche, ma con più rassegnazione. Mi faccio domande sul tempo che passa e su come lo sto impiegando. Bene? Male? È una faccenda che mi attanaglia da tanto (lo dicevo anche qui) e contiene riflessioni ingombranti sul cosa e sul come e si trascina inesorabilmente dietro tantissimi perché. Un paio di mesi fa una ragazza mi ha scritto che ha l’impressione di guardare la sua vita che passa mentre lei sta ferma, passiva. Mi è venuto in mente che anch’io mi sono sentita così, a lungo, ed è una sensazione orrenda. Sentirsi persi, lontani da se stessi e da quello che vorremmo essere è terribile e mortificante. E si osserva il tempo che corre ostinatamente mentre noi, cosa stiamo facendo? La settimana scorsa parlavo del libro (per me) bellissimo Solo bagaglio a mano; Gabriele Romagnoli, in un punto che ho letto e riletto fino a tatuarmi le parole nel cervello, parla dell’essere un bersaglio mobile, per rendersi meno esposti alla vita, al destino. Che poi, lo sappiamo già, certo, la vita arriva, ti prende per la collottola e ti sbatacchia qua e là quando le pare e piace, ma se noi ci muoviamo, se non ci adagiamo sulla nostra tristezza e sulla nostra mancanza di motivazione, ci mettiamo almeno nella condizione di essere padroni del nostro tempo. In modo attivo e consapevole.

“How did it get so late so soon?”

Dr.Seuss

Io sono una persona insicura, prima di decidermi a scrivere sul blog con regolarità ci ho messo anni (seriamente anni), ogni volta che scrivo, fotografo, pubblico qualcosa faccio una serie di respironi profondi e penso che sia tutto insufficiente e inutile. Ma pian piano ho imparato ad apprezzare di più quello che sono e faccio senza subire eccessivamente il giudizio e le aspettative degli altri. Che svolta. Ho scoperto l’acqua calda, ma tra dire consapevolmente che sì, certo, quello che pensano gli altri non conta nulla e agire in quella medesima direzione, ragazzi, altro che abisso che c’è in mezzo. La motivazione non deve mai, mai, mai e poi mai arrivare da fuori. Quante volte me lo ripeto tutti i giorni? Eppure ogni volta che sento mancare l’appoggio delle persone importanti mi scoraggio enormemente, o quando, al contrario, ricevo apprezzamenti, esplode una grande energia. Insomma, non è mica facile. Non lo è se sei un’insicura cronica e neanche, credo, se sei super consapevole della tua bravura. Qualcosa però per me è cambiato. Mi sono trovata nella condizione, nel momento, di dover credere in me per forza. Mi sono voluta e dovuta dare una possibilità perché, a un certo punto, di alternative non ne ho più viste. Sia moralmente, che materialmente. A volte ci vuole una grande dignità per credere nei propri sogni. Non si tratta solo di tenacia. Sempre per via del fregarsene, dell’imparare qualcosa là dove sembra tutto nerissimo e noi in balia della cecità e della paura.

Ho iniziato a credere in quello che faccio, a dare valore al mio tempo, al mio modo di agire, scrivere, pensare. Voglio scrivere? Bene, lo faccio. E lo faccio per me. La rivoluzione parte dall’interno, dal credere nei propri obiettivi e, soprattutto, nell’indiscutibile capacità di raggiungerli. Ci saranno errori, imprevisti, cambi di direzione. È tutto concesso, accettiamolo e accettiamoci così. Vedere tutto inarrivabile e impossibile alimenterà solo l’insicurezza, ma quando si riesce a fare anche solo un passo piccolo, minuscolo, qualcosa che non cambia di certo il destino del mondo, ma il nostro in qualche impercettibile modo sì, allora sembra un miracolo. Un po’ lo è, alla sua maniera. E quella lì è benzina. Poi certo, ci sarà sempre chi fa di più, chi fa meglio, chi è più veloce e chi riesce ad azzeccare il concetto giusto con la parola giusta, ma anziché invidiare o demoralizzarsi, proviamo ad attingere, ad applicare tutti i giorni una miglioria al nostro vivere. Faccio sforzi enormi per pensarla sempre così perché sono abituata a mettere i “devo” prima dei “voglio”. Ma invertire la rotta mi ha resa felice, un po’ egoista, sicuramente più determinata. E così anche la percezione del tempo sta cambiando, nonostante non sia sempre così accogliente ma, anzi, spesso si rivela scomodo e puzzolente come un treno regionale. Che però, comunque, procede e ci porta da un posto all’altro. È la stessa cosa, anche se in equilibrio ci siamo sopra e tanto vale trarne il meglio, essere dei bersagli mobili. E divertirsi tra un esperimento e l’altro, tra un tentativo goffo e uno riuscitissimo. Tutto si costruisce per tentativi, stare fermi non ci aiuterà, si può pensare anche in movimento e con tutto più sfocato, paradossalmente, riusciremo a vedere meglio.

Se poi non rappresenta una promessa, è di sicuro una sfida.

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4 thoughts on “Si sta come sul regionale”

  1. Veramente bello come articolo. Mi ricorda un po’ il pensiero taoista (quindi orientale ) che ho conosciuto qualche anno fa con il tai-chi. Il mutamento continuo è il vero senso della vita, quando ci si ferma … non si vive. E nella mentalità europea esiste troppo il concetto di colpa e di errore, quando in realtà è da ammirare chi sbaglia, impara e cresce. I giapponesi hanno un modo che ho fatto mio, nei momenti in cui sono giù : Nana korobi ya oki. Cadi 7 volte ti rialzi 8. Quando capisci che è meglio vivere provando che rimpiangere l’essere stato fermo… tutto cambia 🙂

    1. Ecco sì, esatto. Cambiare prospettiva e non farsi scoraggiare dai tentativi falliti. Non è facile, ma vale la pena provare 🙂

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