Mani

Aveva le mani da persona buona. Tozze e grosse come quelle di un gigante gentile. Di quelle mani un po’ brutte ma che sembrano fatte apposta per accogliere. Lei invece le aveva molto piccole, affusolate e fredde. Da tenere in tasca. Le mani nervose delle persone insicure. Così quando lui prendeva le mani di lei le inghiottiva proprio. Diventava uno scrigno prezioso e profondo. E le mani di lei stavano lì, senza tremare più. Stavano al caldo nel posto più sicuro del mondo. Alle mani di lei piacevano le mani di lui, con le dita tutte smangiucchiate e larghe. Callose. Secche d’inverno perché lui la crema non se la metteva mica tanto. Allora lei lo sgridava e gli diceva Mettiti la crema! E lui se la metteva, per poi accogliere quelle manine senza più ruvidità. A volte lei metteva il palmo della sua mano contro il palmo della mano di lui, si divertiva a guardare le diversità, a vedere quanto era piccola rispetto a lui. Le piaceva molto anche studiargli la pelle, le cicatrici, i nei, il colore pallido ma caldo di quelle manone, che d’estate prendeva sfumature dorate. A volte per prenderlo in giro gli diceva Sembra che ti abbiano martellato le dita, sono così larghe. E lui rideva.

Invece a lei le sue mani non piacevano proprio, così secche. Le dita lunghe, Da pianista, le dicevano da piccola. Ma lei il piano non l’aveva mai suonato. Non le piacevano le sue mani troppo sensibili, troppo esposte ai cambi d’umore e di temperatura. Ogni sussulto e loro tremavano e la tradivano se lei voleva dire Guarda, sono forte, cosa credi. Oppure col freddo diventavano bianchissime. Il sangue non girava più e sembravano le mani di un morto. Si vergognava lei a volte, ma poi arrivavano le manone a salvarla. Le raccoglievano e le chiudevano lì al caldo, finchè non era primavera. Lei aveva le mani curiose, lui le mani di chi lavora tosto. Lei di chi crea, lui pensanti. Lei leggere come la fantasia, lui pesanti come la realtà. Si incastravano alla perfezione. Il pollice di lei poteva perfettamente dormire nella tabacchiera anatomica di lui. Un pisolino, così, ogni tanto, poi tornavano a includere anche tutte le altre dita e a stare incastrate e felicemente abbandonate. Si accarezzavano a vicenda. Col palmo, con la punta delle dita, col dorso. Si sfioravano a volte ma mai per errore.

La prima volta si erano incontrate di notte, quelle mani diverse. In una notte d’estate guardando le stelle. Era una situazione così ovvia, che non hanno potuto fare a meno di lasciarsi andare. Si erano abbracciate tutte le dita, strette strette con la sorpresa della prima volta. Le manine di lei emozionate e tremanti, le manone di lui emozionate e avvolgenti. Si erano incontrate, dita tra le dita, avevano giocato a toccarsi per imparare un po’ a conoscersi. E per poi conoscersi sempre di più e diventarsi indispensabili. Sapevano tutto della pelle dell’altra, dopo un po’. E quando non si incontravano si mancavano. Anche di notte stavano abbracciate. Si intrecciavano appena quando arrivava il sonno e stavano lì a dormirsi addosso. Manona e manina.

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